martedì, aprile 28, 2020

Fratel Pierluigi Paliasso,Sottotenente della RSI. Ed Orionino.

Sottotenente del IV reggimento Alpini, classe 1921. Di lui ha parlato diffusamente la stampa in occasione della laurea ad honorem concessagli dall'Università di Parma nel 1955, ma “annullata” da un intervento successivo del Ministro della Pubblica Istruzione. D'altra parte risultò che la concessione era stata legittima, in quanto lo studente universitario Paliasso era stato sì condannato a morte da uno pseudo-tribunale dei popolo di Tortona il 5 maggio 1945 e “giustiziato” qualche giorno dopo, ma il Ministero della Difesa, con dispaccio del 16 novembre 1953, aveva già “discriminato ed assegnato alla prima categoria, senza punizioni”, il sottotenente Paliasso (era stato insegnante della Scuola Allievi Ufficiali della R.S.I.) e dichiarato che il di lui decesso, per le circostanze di tempo e di luogo in cui si verificò, deve ritenersi dipendente da causa di servizio di guerra.
 Lo stesso dispaccio dava il nulla-osta all'iscrizione del nome del Paliasso nella lapide dei Caduti per la Patria esistente all'Accademia Militare di Modena. Ma la riabilitazione ufficiale è nulla rispetto alla luce che sprigiona la figura del martire durante il processo. Si difese da solo, dimostrando una per una false le accuse fattegli, ma senza nascondersi, ché, data la faziosità e la cecità incombenti, sarebbe stato ugualmente condannato a morte. Concluse la propria difesa rivolgendo ai giudici queste parole: “Ricordate che, al di sopra di ogni legge e giustizia umana, c'è una legge e una giustizia divina che afferma: - Chi non ha ucciso non deve essere ucciso. - Voi risponderete davanti a Dio delle condanne pronunziate contro gli innocenti”. Condannato a morte, Pier Luigi chiese tre cose: l'onore delle armi, la facoltà di comandare il plotone d'esecuzione, il permesso di scrivere una lettera alla madre. Non volle firmare la domanda di grazia che altri aveva preparato e che venne firmata, in vece sua, da personalità del Movimento di Liberazione. Tale domanda, comunque, venne fatta sparire da chi aveva interesse ch'essa non pervenisse al Comando Generale. L'esecuzione avvenne il giorno 9. Il S. Tenente Paliasso si confessò e comunicò con grande raccoglimento, fece a piedi il tragitto dalle carceri al poligono, conversando serenamente con Don Eugenio Manduca cappellano delle carceri e con un altro sacerdote, don Nicola, che l'aveva confessato e volle accompagnarlo per la via del Calvario. Rivolse parole cordiali e perfino scherzose agli uomini del plotone, concludendo: “Vorrei che miraste al petto. Risparmiate il viso; così, se verrà mia mamma, potrà vedermi”. Si tolse il maglione di lana per consegnarlo a Don Eugenio con le parole: “Lo darete a mia sorella. Me lo ha fatto lei. Lo riceverà per mio ricordo”. E aggiunse: “Il Vangelo che mi avete regalato lo darete pure ai miei. Alla mia mamma. Lo terranno caro, statene certo”. E solo in quel momento diede segno di commozione e si lasciò scorrere sul volto qualche lacrima. Si riprese subito. Scelse il luogo dell'esecuzione, dispose il plotone, cambiò di posto il comandante del medesimo, che non sapeva da che parte dovesse collocarsi, secondo il regolamento; abbracciò i due sacerdoti e gli stessi uomini del plotone. Ritornato al suo posto, si passò una mano sulla fronte dicendo: - Dio mio, quanto mi costa comandare il fuoco! - Allora don Nicola esclamò: “Anche questo sacrificio sia per il Signore!”.
    Egli rispose: “Gesù, ti amo! Fuoco! Viva l'l ... “ - Non gli lasciarono finire la parola: Italia!
    Prima di uscire dal carcere aveva consegnato a don Eugenio la seguente lettera per la mamma:

 Tortona, 9 maggio 1945
 Mamma adoratissima,
    quando riceverai queste mie poche righe io sarò già in cielo, da cui ti proteggerò.
    Sono stato travolto dall'odio di parte e sono colpevole solo di aver amato la mia grande Italia!
    Non piangere, mamma, non piangere, te ne supplico. Un figlio perso così non è da piangersi '.
    Devi invece tenere la testa alta ed andare orgogliosa di me. Ma sappi, Mamma, che io non ho ucciso. Non ho fatto uccidere, non ho fatto torturare. Quindi non è stata giusta, agli occhi di Dio, la mia condanna.
    Vorrei dirti mille e mille cose, ma non mi è possibile; in questo momento tutti i pensieri mi attraversano il cervello.
    Ti prego di scusarmi tutto il male che vi ho fatto, tutte le pene che tu e Babbo avete sofferto per me. Ricordati di tuo figlio e prega per lui, che la sua anima ha tanto bisogno di ciò.
    E ricordati, Mamma adorata, che forse è bene che ciò accada per me! Così non vedrò l'Italia dibattersi in una nuova guerra... E poi, dopo questa, la guerra dei partiti. E nuovi fiumi di sangue scorreranno sul nostro suolo, e nuove lagrime scorreranno sul mondo.
    Fino ad un'ora fa non sapevo ancora quale missione mi avesse affidato Dio. Ora lo so: morire per la mia Patria.
    Ed io affronto questo supremo momento in piena serenità, con animo tranquillo, da “alpino” come sono sempre stato.
    Il mio ringraziamento vada al signor Picchi, a Don Nicola, a Don Eugenio, a tutti quelli che mi furono supremamente vicini in questa ultima ora. E voi pure ringraziateli, perché mi hanno alleviato veramente le pene.
 Con tanto affetto vi bacio. Eternamente vostro
 Pierluigi.

Emise la Professione Perpetua Laica presso i Figli della Divina Provvidenza di Don Orione in occasione della morte.
Essendo Fratello Laico,non risulta nell' elenco dei Religiosi uccisi dai partigiani.


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