sabato, maggio 20, 2006

Gli orrori del Castello Guidotti di Fabbrico (Re).


Chi passa dal comune di Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia,tra Novellara e Carpi, non può non notare questo antico Borgo risalente al XIII secolo.
Oggi vi troviamo un ristorante ed altre sale che ospitano matrimoni, mostre, convivi.
Ma un blog come il mio, dedicato ai Morti Dimenticati, non può scordare quello che accadde lontano nel tempo.
Dal 23 Aprile 1945 vi furono concentrati da 50 a 70 prigionieri, uomini e donne, repubblicani, militari e civili. Nonostante il Medioevo fosse passato da secoli, dentro la prima stanza dell' ala est avvennero torture e sevizie allucinanti; furono usati ferri, funi e catene, fino alla fine di Maggio, quando fu riconsegnata la stanza, imbrattata di sangue e con ancora le funi alle quali venivano appesi i prigionieri per esssere bastonati a sangue; a molti furono cavati gli occhi, altri furono portati fuori e sepolti dove capitava ancora agonizzanti o finiti a badilate.
Tra questi, Leopoldo Barbieri.
Ecco la sua fine, raccontata dal fratello Riccardo:

Il 22 aprile venne catturato dopo una giornata trascorsa quasi normalmente. Mi scrisse il funzionario del Municipio Gaddi: “La mattina della domenica, quando già si sentiva lontano il rombo dei carri armati, Leopoldo, all’apertura della biblioteca municipale, mi restituì due volumi dei discorsi di Mussolini, poi si allontanò”. Verso mezzogiorno, quando i tedeschi avevano già abbandonato Novellara, alla signora Luppi che lo consigliava di andarsene, come già aveva fatto suo marito, oppose un secco rifiuto: “Non ho nulla da temere: rimango”.
La sera venne catturato; non so ancora se da angloamericani o da partigiani e poi rinchiuso nei locali della Rocca. Nel pomeriggio del 23 aprile, poiché protestava la sua coscienza di aver agito per la pacificazione degli animi, sostenendo che la gente gli voleva bene, fu gettato alla mercé dei partigiani dal comandante della piazza, colonnello Soragni. Il comandante partigiano Crotti mi ha personalmente dichiarato, come già aveva fatto nell’intervista rilasciata a Massimo Storchi dell’Istituto Storico della Resistenza, che la sua determinazione di abbandonare ogni incarico politico e militare maturò proprio assistendo agli insulti, alle percosse ed alle violenze subite da Leopoldo in quel pomeriggio. La signora Antea Lombardini Bonazzi mi scrisse di averlo visto, unico in piedi, sul camion che lo portava verso il suo destino. Così si esprimeva poi don Sante Pignagnoli, prete partigiano: “Guardate quel ragazzo, è come Cristo sulla strada del Calvario”.
La notte del 24 aprile fu portato a Fabbrico, alla villa Guidotti, sede del comando partigiano, a disposizione del comandante Silvio Terzi, che lo conosceva, essendogli stato a fianco come Commissario Prefettizio del Comune di Fabbrico (Il Terzi passò poi nelle file partigiane).
Alla signora Guidotti che gli aveva portato il Vangelo, Leopoldo disse: “Hanno ucciso Gesù: crucifige. Tre giorni fa eravamo in auge, ora ci massacrano… Si ripete la storia!”.
E’ evidente che Silvio Terzi, nel nome della passata collaborazione ed amicizia, aveva intenzione di salvarlo. Infatti raccomandò al partigiano Livio Vezzani, che me lo ha riferito, di non lasciarlo avvicinare da nessuno. Purtroppo Terzi dovette allontanarsi, perché chiamato a Reggio per fronteggiare i franchi tiratori. Leopoldo rimase prigioniero qualche giorno. Probabilmente nella notte dal 27 al 28 aprile alcuni partigiani di Novellara, approfittando dell’assenza del Terzi, lo prelevarono contro la volontà del partigiano Dante Sabatini, addetto alla sua custodia. Il Sabatini, sotto la minaccia di una pistola, dovette cedere. Leopoldo fu caricato su un camioncino 103 FIAT.
Sul luogo dell’uccisione e quello del seppellimento una ridda di voci e supposizioni. Vane le ricerche effettuate, vani i numerosi esposti alla Questura, vano l’interessamento del Vescovo di Guastalla e del capitano Vesce.
Chi sapeva taceva, chi sa ancora tace, o per omertà, o per paura, o per colpevolezza.
Unico, chiuso nel suo dolore, il nonno Bernardo non lasciò nulla di intentato, facendosi accompagnare sui luoghi di ritrovamento dei cadaveri con un’auto pubblica su cui faceva issare una bara, e portando sempre con sé un campione del vestito indossato di Leopoldo. Con l’aiuto del bisturi, avvalendosi della sua esperienza di chirurgo, cercava di riconoscere i resti ostacolato, in quest’opera pietosa, dagli insulti della masnada, a stento trattenuta da due carabinieri.
Ogni volta la bara tornò vuota.

2 commenti:

marshall ha detto...

Una fine orrenda, neanche lontanamente immaginabile.
Ho rivissuto la passione di Cristo in questo racconto!
Per Riccardo, suo fratello Leopoldo è sicuramente un "Santo Martire", come lo è certamente per coloro che hanno una fede.
Provo una profonda pietà per Leopoldo che ha subito una tale inaudita violenza. Altrettanta pietà provo per i suoi carnefici. Chissa se mai saranno riusciti a dimenticare , a cancellare il rimorso per quanto avevano fatto?
Credo proprio di no, e in punto di morte, della loro morte, avranno sicuramente chiesto, o sicuramente chiederanno, perdono: perdono al "martire" e perdono al "cielo".

Bravo! Complimenti!

Che "scossa" avrei ricevuto se avessi assistito direttamente a quelle scene disumane come le ha viste il prete partigiano don Sante Pignagnoli?
Queste storie vanno continuamente ricordate affinchè non se ne perda la memoria.

francesco colangelo ha detto...

un caloroso saluto alla famiglia Guidotti,per me persone umili e stupende che sanno capire la gente. Spero di rivedervi per salutarvi di persona