Sembra una storia soltanto di ieri, invece è anche una storia di oggi. E riguarda i partiti politici, la formazione culturale dei loro dirigenti, i criteri di scelta per gli incarichi ai vari livelli. La storia di ieri risale al biennio di sangue dopo la Liberazione, dal 25 aprile 1945 a tutto il 1946 e spesso ben oltre. In provincia di Modena emerge quello che verrà chiamato il Triangolo della morte. È un'area compresa fra Castelfranco Emilia e le frazioni di Manzolino e di Piumazzo. Anche qui la guerra civile è stata durissima. Molti giovani hanno fatto il partigiano. E al ritorno della pace, la maggior parte di loro ha ripreso con tranquillità la vita non facile di tutti i giorni. C'è soltanto un gruppo che ha deciso di non gettare il fucile e di aprire una seconda guerra civile, questa volta tutta comunista. È una banda numerosa, con due capi spietati. Cominciano a uccidere il 16 maggio 1945 e smetteranno di farlo soltanto dopo un anno, il 19 maggio 1946, per l' intervento dei carabinieri. Il loro fatturato è orrendo: 39 delitti, forse di più. Quasi tutte le loro vittime non sono figure del fascismo sconfitto. La banda ammazza per una miriade di motivi abietti: per odio sociale, per vendetta personale, per procurarsi denaro e armi, per coprire i delitti già compiuti, e anche per puro sadismo.C'è un episodio che da solo rivela la perversione di un gruppo che si dichiara politico. La vicenda ci riporta al clima di omertà e di paura che in quel tempo soffoca Castelfranco, dove ribellarsi alla banda può costare la vita. Nel marzo 1946 un giovane del posto, Renato Seghedoni, 26 anni, partigiano delle Garibaldi e iscritto al Pci, va al caffè e critica i due boss del Triangolo. Poi straccia la tessera del partito e annuncia che andrà dai carabinieri a raccontare ciò che sa. La banda lo sequestra, lo trascina in un campo di San Giovanni in Persiceto e lo uccide. Una volta chiuso il mattatoio, cominciano i processi. Ma a quello più importante, mancano proprio i due capi del Triangolo. Uno è evaso dal carcere di Bologna. L'altro è arrivato in Jugoslavia, a Fiume, dove l'ha mandato il Pci: lui come tanti altri partigiani della seconda ondata, ricercati per delitti senza alcun rapporto con la lotta al fascismo. Ed è proprio quest'ultimo, ormai ottantenne, a trasformare la storia di ieri in storia di oggi. Verso la fine degli anni Novanta, ritorna a far capolino a Castelfranco, per qualche giorno di vacanza estiva. Poi chiede di iscriversi all'Anpi, l'associazione dei partigiani, e lo accettano. Chiede anche di iscriversi ai Ds, sempre a Castelfranco, e lo prendono anche lì. Dovrei aggiungere: a occhi chiusi. Perché non si rendono conto dell'errore che fanno. O forse se ne rendono conto, però non lo ritengono un errore. Il guaio emerge dieci giorni fa, per un articolo del 'Resto del Carlino'. Nei Ds scoppia il finimondo. Soprattutto a Modena, dove la federazione della Quercia si dispone subito all'espulsione del vecchio killer. Anche l'Anpi provinciale decide di ritirargli la tessera. Ma nella sinistra di Castelfranco gli smemorati cascano dal pero. Che cosa è successo in quel biennio di sangue? Non lo ricordo, non lo so, non l'ho mai saputo, non sappiamo niente. Certo, tutti hanno il diritto di non sapere. Tutti tranne alcuni. E sono proprio quelli messi a dirigere organismi di partito o associazioni di reduci con una forte connotazione politica. Avrebbe il dovere di sapere tutto, almeno sulla propria città, il segretario dei Ds di Castelfranco, una ragazza di 25 anni. Invece ha mangiato tranquilla la mela avvelenata. E allora è inevitabile qualche domanda a Piero Fassino, il numero uno della Quercia: ma come li scegliete i dirigenti locali, specie nelle zone dove il vostro partito è dominante? Quali libri gli avete fatto leggere? Nessuno gli spiega nulla al momento di assumere un incarico? Forse dovreste riaprire la mitica scuola di partito delle Frattocchie o quella di Albinea. O almeno regalare ai giovani funzionari dei Ds un sussidiario di storia sulle aree che vanno a dirigere. Conosco Fassino da molti anni. Immagino che la storiaccia di Castelfranco l'abbia fatto incavolare di brutto. E sia rimasto costernato nel leggere l'ottima inchiesta di Aldo Cazzullo sul 'Corriere della Sera'. Che dipinge un quadro terrificante di un segmento della Quercia in preda all'ignoranza della storia e al dilettantismo politico. Gli stessi guai affliggono l'Anpi. Questa associazione si è ridotta a una piccola chiesa ideologica pronta a scomunicare chi pecca di revisionismo. Un giorno sì e l'altro pure, dà del falsario, del fascista, del voltagabbana a chi non scrive quello che fa comodo a loro. E intanto si prende in casa, a occhi chiusi, un vecchio capo del Triangolo degli assassini, fidandosi delle sue scontate dichiarazioni d'innocenza. Salvo poi, a babbo morto, strillare come fa la presidente dell'Anpi di Modena: "È stato un atto di leggerezza!".
Dal Bestiario di Giampaolo Pansa.
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